Ricordo che in una mia vita precedente – mentre viaggiavo per raggiungere il posto in cui mi trovo adesso – chiesi al mio compagno di viaggio quale fosse la sua paura più grande. E lui mi rispose che aveva paura di non raggiungere gli obiettivi che si era fissato, di diventare diverso da quello che voleva essere (e per cui probabilmente si era ipotecato l’anima)… Per me, per cui l’essere non è mai stato significativo, la risposta rimase incomprensibile… (Il non essere piuttosto… La paura, a volte, ha l’odore acre della morte… L’abbandono estremo che condanna all’insaziabile solitudine…)
Ho pensato per secoli alle parole del compagno di allora… E le riesumo in questa notte di mare… Mentre viaggio per un provvisorio ritorno ad una casa lontana che un tempo ritenni mia.
Sono quella che volevo essere? E scopro di non avere memoria…
Cosa volevo essere nelle mie cento vite passate lo ricordo appena… E ringrazio il non-essere in cui mi sono inoltrata…
Sento un piacere sottile, che mi riscalda la pelle… Nelle mie trasmigrazioni perenni ho imparato a godere dell’essere… Lo guardo ogni giorno negli occhi dell’unica casa a cui appartengo…
P.S. Dedicato ad Alessandro che pochi giorni fa ha trovato l’essere nel non essere